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Caltabellotta

la ricchezza di sorgenti d'acqua, i fertili terreni agricoli e l'inattaccabilità

Caltabellotta

Dalla cima di una roccia dolomitica (m. 949), il paese di Caltabellotta (4195 abitanti) palesa la funzione di primaria importanza militare, fin dalla sua nascita, attraverso un'immagine di forza e di compattezza che contrasta con il dolce paesaggio della costa meridionale dell'isola.
Caltabellotta fu reso famoso da un trattato di pace, firmato tra Carlo di Valois e Federico II d'Aragona il 31 agosto 1302, che pose fine alla sanguinosa guerra dei Vespri Siciliani (quando i Siciliani si ribellarono al dominio francese degli Angioini).
Prima dell'acquisizione del nome arabo “Qal'at al-Ballut” (rocca delle querce), la città si chiamava "Triocala", che significa "tre cose buone"; secondo Diodoro Siculo, 'le tre cose buone' erano la ricchezza di sorgenti d'acqua, i fertili terreni agricoli (per i vigneti e gli uliveti), e l'inattaccabilità essendo naturalmente protetta dalla scogliera. Il sito conserva ancora queste tre qualità, insieme al prezioso impianto urbanistico medievale.

Caltabbellotta si stende ai piedi di Monte Castello, da cui si ammira un vastissimo panorama che abbraccia una notevole parte della Sicilia e del Mar d'Africa.
Sulla cima di Monte Castello, a cui si accede percorrendo una scala scavata nella roccia, esistono le rovine di un antico castello normanno; sono notevoli anche le chiese di Sant'Agostino e San Lorenzo. La Chiesa Madre, fondata dai Normanni e ricostruita nel 200, ospita alcune statue cinquecentesche dei Gagini e conserva un bel portale gotico.

Da una breve distanza, a ovest del paese, si può visitare l'eremo di San Pellegrino, che domina la città. Il complesso, costituito da una cappella del XVII secolo e l'eremo allegato, ampliato nel XVIII secolo, si trova nei pressi di due grotte profonde sovrapposte dove, secondo la leggenda, viveva un drago che si nutriva dei bambini di Caltabellotta. Il drago fu poi ucciso dal santo. All'interno di questi santuari rupestri vi sono alcuni affreschi settecenteschi, nicchie e mobili rudimentali a testimoniare l'antichità del culto.